Articoli

La risoluzione consensuale del rapporto di lavoro o la richiesta di dimissioni presentate dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante i primi tre anni di vita del bambino o nei primi tre anni di accoglienza del minore adottato o in affidamento (nel caso di adozione internazionale il termine di tre anni decorre dalla comunicazione della proposta di incontro con il minore adottando, ovvero dalla comunicazione dell’invito a recarsi all’estero per ricevere la proposta di abbinamento) devono essere convalidate dal Servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali competente per territorio.
Ai sensi del IV comma dell’art 55 del Decreto legislativo 26/03/2001 n. 151 (c.d. Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità), in assenza di tale convalida la risoluzione del rapporto di lavoro è inefficace.
La disciplina in esame è stata recentemente oggetto di interpretazione da parte della Corte di Cassazione, la quale, con Ordinanza 23 febbraio 2023, n. 5598, ha stabilito che le dimissioni rassegnate dalla lavoratrice madre nel periodo protetto previsto dall’art. 55 del Decreto legislativo n. 151/2021, in assenza di convalida da parte dai Servizi ispettivi, restano inefficaci anche dopo il venir meno di tale protezione.
Come i Giudici della Corte di Cassazione hanno avuto modo di precisare, la ratio che sorregge la disposizione di cui si tratta è infatti quella di salvaguardare la genuinità e la spontaneità della volontà dismissiva espressa dalla lavoratrice o dal lavoratore in un periodo particolarmente delicato, corrispondente alla gravidanza ed ai primi anni di vita del bambino, contro eventuali abusi datoriali volti a viziare o condizionare in vario modo la formazione della volontà. Per questa ragione il legislatore ha inteso affidare ai Servizi ispettivi ministeriali la verifica della effettività della volontà di risolvere il rapporto, condizionando alla convalida l’efficacia del negozio di recesso.
Secondo quanto affermato nella sentenza in esame, quindi, “risulta del tutto evidente che la specifica finalità antiabusiva perseguita dalla norma in tema di convalida risulterebbe in larga parte vanificata ove si accedesse all’opzione per la quale una volta trascorso il periodo protetto non sarebbe necessaria la convalida da parte dei servizi ispettivi ministeriali per il prodursi della efficacia del negozio di recesso; il legislatore ha, infatti, inteso tutelare una volta per tutte la genuinità e spontaneità della volontà del dipendente con riferimento al momento delle dimissioni ed in relazione a tale elemento temporale la cessazione del periodo protetto costituisce un fattore neutro, inidoneo ad incidere, ora per allora, sulla modalità di formazione della volontà dismissiva espressa dal dipendente”.