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Il trasferimento del dipendente dovuto ad incompatibilità ambientale trova la sua ragione nello stato di disorganizzazione e disfunzione dell’unità produttiva.

Il provvedimento datoriale, quindi, va ricondotto alle esigenze tecniche, organizzative e produttive di cui all’art. 2103 c.c., piuttosto che, sia pure atipicamente, a ragioni punitive e disciplinari, con la conseguenza che la legittimità del provvedimento datoriale di trasferimento prescinde dalla colpa in senso lato del lavoratore trasferito, come dall’osservanza di qualsiasi altra garanzia sostanziale o procedimentale che sia stabilita per le sanzioni disciplinari.

In tale ipotesi il controllo giurisdizionale sulle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, che legittimano il trasferimento del lavoratore subordinato, deve essere diretto ad accertare soltanto se vi sia corrispondenza tra il provvedimento datoriale e le finalità tipiche dell’impresa, e cioè se l’incompatibilità, determinando conseguenze quali tensione nei rapporti personali o contrasti nell’ambiente di lavoro che costituiscono esse stesse causa di disorganizzazione e disfunzione nell’unità produttiva, realizzi un’obiettiva esigenza aziendale di modifica del luogo di lavoro.

Il Giudice, inoltre, deve tenere conto del principio di libertà dell’iniziativa economica privata espresso dall’art. 41 Cost e non può estendere il proprio controllo al merito della scelta imprenditoriale, né tale scelta deve presentare necessariamente i caratteri della inevitabilità, essendo sufficiente che il trasferimento concreti una tra le scelte ragionevoli che il datore di lavoro possa adottare sul piano tecnico, organizzativo o produttivo.

In tal senso recentemente si è espressa la Corte di Appello di Roma (App. Roma, Sez. L, Sent. 01-06-2022, n. 2230).