La rinuncia all’eredità consiste in un atto giuridico unilaterale, per mezzo del quale il chiamato all’eredità dismette il suo diritto di accettarla. Il compimento di tale atto determina la perdita del diritto all’eredità ed il rinunciante è considerato come se non fosse stato mai chiamato.
Ai sensi dell’art. 519, cod. civ., detta rinuncia deve necessariamente essere compiuta in forma solenne, con dichiarazione ricevuta da notaio o da cancelliere del Tribunale del circondario nel quale si è aperta la successione ed iscritta nel registro delle successioni.
È stato anche precisato dalla giurisprudenza di legittimità che, ai sensi dell’art. 519, cod. civ., la dichiarazione di rinunzia all’eredità non possa essere sostituita neanche da una scrittura privata autenticata. La forma suddetta è prevista a pena di nullità, in quanto l’indicazione dell’art. 519 cod. civ., rientra tra le previsioni legali di forma “ad substantiam”, di cui all’art. 1350 cod. civ., n. 13, (Cass. Sez. II, Sent. n. 4274 del 2013).
La Suprema Corte, prendendo le mosse dalle considerazioni che precedono, nell’ordinanza n. 37927 del 28 dicembre 2022, ha, in proposito, recentemente stabilito il principio secondo il quale, nel sistema delineato dagli artt. 519 e 525, cod. civ., in tema di rinunzia all’eredità – la quale determina la perdita del diritto all’eredità ove ne sopraggiunga l’acquisto da parte degli altri chiamati – l’atto di rinunzia deve essere rivestito di forma solenne, con la conseguenza che una revoca tacita della rinunzia deve essere considerata inammissibile.