La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 6342 del 2 marzo 2023, si è espressa sulla validità dell’assegno quale titolo esecutivo nel caso in cui la data risulti sovrascritta e di fatto incerta.

La vicenda trae origine dall’opposizione a precetto emesso su base di un titolo esecutivo – assegno bancario – con data di emissione alterata.

Più nel dettaglio, l’odierna ricorrente assumeva la prescrizione del titolo in quanto emesso nell’anno 2015, data successivamente corretta in anno 2016.

Sia in primo che secondo grado di giudizio l’opposizione veniva rigettata atteso che la Corte d’Appello aveva ritenuto che nel caso di specie non fosse stato possibile stabilire se l’assegno in oggetto fosse stato “alterato” ovvero modificato dopo la sua emissione -, oppure semplicemente “corretto” – ovvero emendato dallo stesso traente al fine di operare una correzione -, non essendo riuscito l’opponente a provarne l’alterazione e, di conseguenza, aveva ritenuto non applicabile l’art. 68, comma 2, R.D. n. 1736/33 che così prevede: “Qualora non risulti dal titolo o non si dimostri che la firma sia stata apposta prima o dopo, si presume che sia stata apposta prima”.

Avverso tale decisione la ricorrente si rivolgeva alla Corte di Cassazione che, in data 2 marzo 2023, pronunciava il seguente principio: “L’assegno bancario recante una sovrascrittura della data è inefficace come titolo esecutivo, quando la suddetta alterazione renda la data di emissione insuperabilmente incerta”.

La decisione della Cassazione ha spianato la strada ad un nuovo orientamento giurisprudenziale, avente ad oggetto l’efficacia dell’assegno bancario con data incerta, dopo che la giurisprudenza ha avuto negli anni una tormentata evoluzione, con due filoni principali.

Da un lato una lettura rigoristica che stabiliva la nullità dell’assegno in quanto tale e l’inefficacia come titolo esecutivo (non valeva quindi neanche come prova scritta del credito), dall’altro un orientamento meno rigido confermato dalla sentenza n. 6342/2023.

Secondo la pronuncia in commento l’incertezza della data non rende nullo l’assegno bancario, ma lo rende inefficace quale titolo esecutivo, con la conseguenza che potrà avere valore di prova scritta (con tutte le cautele del caso) del credito fatto valere, ma non potrà essere usato come titolo esecutivo.

Ne discende che la data di emissione è qualificabile come elemento essenziale affinché l’assegno possa assumere la veste di titolo esecutivo.

Per tale ragione è sempre consigliabile porre una particolare attenzione a questo elemento, sia nel ricevere che nel consegnare un assegno, onde evitare di incorrere nella successiva e ipotetica problematica di non poter riscuotere quanto di diritto direttamente con il titolo.

E’ stato rigettato dalla Corte di Cassazione, con l’ordinanza 7 giugno 2023, il ricorso di una donna caduta a causa di un avvallamento nella strada, confermando così la linea recentemente tenuta a seguito dei principi enunciati dalle Sezioni Unite nel 2022 ed espressamente ribaditi con un’altra recente pronuncia di eguale tenore (Cass. n. 15447/2023).

Per la Suprema Corte la causa della caduta va ricercata nella condotta imprudente della danneggiata. E’ dovere di chi entra in contatto con la cosa custodita, ovvero la strada, di osservare cautela in virtù del principio di solidarietà (art. 2 Cost.). La Cassazione, dunque, esclude la responsabilità del Comune, considerato che, nel caso di specie, la causa esclusiva della caduta deriva dalla “colpevole inavvedutezza comportamentale” della donna e la presenza dell’avvallamento deve considerarsi come mero teatro dell’evento, non già come causa.

Sta facendo molto discutere il principio di diritto affermato dalla Corte di Giustizia Europea nella pronuncia del 17 maggio 2022, ribadito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella pronuncia n. 9479 del 6 aprile 2023, secondo cui – qualora il titolo esecutivo sia rappresentato da un decreto ingiuntivo non opposto nel quale non è contenuta una specifica motivazione in ordine all’assenza di clausole abusive – la nullità del contratto può essere fatta valere, anche per la prima volta, in sede esecutiva.

Sul punto però non tutte le pronunce di merito via via pubblicate sono dello stesso avviso. È questo il caso, per esempio, della sentenza n. 1500 del 3 luglio 2023 con cui il Tribunale di Monza ha sancito che il principio affermato dalla Corte di Giustizia Europea non trova applicazione nel caso in cui l’abusività sia collegata a clausole di un contratto di fideiussione conforme al modello ABI 2005/2006.

Nel caso deciso dal Tribunale di Monza il fideiussore proponeva opposizione a precetto ex art 615 c.p.c. nei confronti del creditore lamentando la nullità del contratto di fideiussione per violazione della normativa sulla concorrenza, in quanto nello stesso sarebbero state presenti clausole conformi al modello ABI 2005/2006.

Si costituiva il creditore, contestando in fatto e in diritto la ricostruzione proposta dall’opponente.

Il Giudice si è pronunciato affermando che l’eventuale nullità del contratto avrebbe dovuto essere fatta valere in sede di opposizione al decreto ingiuntivo. Secondo il Giudice, infatti, una volta formatosi il giudicato per mancata opposizione, è preclusa la possibilità di sollevare in sede esecutiva censure in merito a quanto opinato dal giudice della fase monitoria.

Sempre secondo il Giudice la ridetta censura non può essere fatta valere in sede di opposizione all’esecuzione nemmeno sulla scorta dei principi espressi dalla recente sentenza delle Sezioni Unite n. 9479 del 6 aprile 2023 (che, come scritto, riprendono quello sancito dalla Corte di Giustizia Europea) atteso che, nel caso di specie, la disciplina è attratta dalla normativa anticoncorrenziale che trova fondamento nella Legge n. 287/1990 anziché da quella posta a tutela del consumatore.

Conseguentemente, non venendo in rilievo alcuna clausola “abusiva”, le censure concernenti la nullità del contratto per violazione della normativa anticoncorrenziale avrebbero dovuto essere fatte valere mediante la proposizione di una opposizione al decreto ingiuntivo ma sulle stesse si era ormai formata la preclusione derivante dal giudicato.

Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, con una recente sentenza del 6 aprile scorso, hanno affrontato il delicato tema del superamento del giudicato del decreto ingiuntivo non opposto, in ossequio al principio di effettività della tutela del consumatore, alla luce della direttiva 93/13 e dell’art. 19 del Trattato sull’Unione Europea (TUE).
Più precisamente le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi sulla sorte dell’opposizione all’esecuzione proposta dal consumatore che, non avendo opposto il decreto ingiuntivo nei termini di legge, ha eccepito, per la prima volta dinanzi al giudice dell’esecuzione, l’abusività delle clausole del contratto in base al quale era stato emesso il decreto ingiuntivo.
Le Sezioni Unite, dando seguito alle decisioni della Corte di giustizia dell’Unione Europea, in data 17 maggio 2022 (sentenza in C-600/19, Ibercaja Banco; sentenza in cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C-831/19, Banco di Desio e della Brianza; sentenza in C-725/19, Impuls Leasing Romania; sentenza in C-869/19, Unicaja Banco), hanno affermato che il giudice del procedimento monitorio è tenuto a compiere d’ufficio il controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore e che qualora tale verifica non sia stata effettuata, l’eventuale abusività delle clausole contrattuali andrà accertata in fase esecutiva potendo il debitore proporre opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. anche se il decreto ingiuntivo non è stato opposto nei termini di legge.
La Cassazione ha chiarito che, in questo caso, il giudice dell’esecuzione ha il dovere di riesaminare la questione e di accertare la sussistenza o meno dei presupposti per l’emissione del decreto ingiuntivo, senza che ciò costituisca una violazione del principio di inderogabilità del giudicato.
In buona sostanza, nel caso in cui il giudice accerti la nullità del decreto ingiuntivo, la tutela del consumatore deve essere garantita anche nei confronti di eventuali azioni esecutive adottate sulla base di tale decreto con il giudice che ha il potere-dovere di sospendere l’esecuzione e di adottare le misure necessarie a garantire la tutela del debitore.
La sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione costituisce un ulteriore balzo in avanti verso una piena tutela del consumatore a discapito però del creditore che potrebbe vedersi sospendere l’esecuzione suo malgrado nonostante l’inerzia del consumatore che non si è attivato in tempo per proporre opposizione avverso il decreto ingiuntivo.

Con ordinanza del Tribunale di Genova, datata 2 aprile 2023 (causa n. 10213/2022 R.G.), è stata ammessa la domanda promossa dalla signora Joyce Ruinion, con il patrocinio degli avv.ti Alessandro e Stefano Ghibellini, con la quale si contestano a Costa Crociere S.p.a alcune condotte illecite tenute nell’ambito del pacchetto turistico da quest’ultima organizzato a bordo della nave Costa Luminosa denominato “Voyage from Caribbean” con partenza dal porto di Port Everglades (Florida) il giorno 24 febbraio 2020 ed il giorno 5 marzo 2020.

In particolare, l’ordinanza che ha dichiarato l’ammissibilità dell’azione di classe ha:

– disposto che sono inclusi nella classe e possono aderire alla presente azione tutti gli acquirenti del pacchetto turistico organizzato da Costa Crociere S.p.a. a bordo della nave Costa Luminosa denominato “Voyage from Caribbean”, sia di quelli che hanno acquistato la crociera venduta dalla convenuta con partenza dal porto di Port Everglades (Florida) il giorno 24 febbraio 2020, sia di quelli che hanno acquistato la crociera venduta dalla convenuta con partenza dal porto di Port Everglades (Florida) il giorno 5 marzo 2020 che essendo stati personalmente coinvolti negli inadempimenti lamentati e descritti dalla promotrice dell’azione (variazione peggiorativa dell’itinerario di viaggio comportante la soppressione di tappe; paura del contagio a bordo, parziale fruizione dei servizi di bordo; forzata quarantena nelle cabine e minor godimento della vacanza e pratiche scorrette configuranti un’omissione informativa circa la possibilità di scelta tra il rimborso, da una parte, ed un voucher per un futuro pacchetto, dall’altra parte; tra una riduzione del prezzo, considerato il minore valore dell’itinerario, ed il recesso dal contratto) intendano aderire alle domande di rimborso parziale del prezzo e di risarcimento dei danni dalla stessa proposte;

– ordinato la seguente pubblicità, ai sensi dell’art. 140 bis, comma 9, D.Lgs. n. 206/2005 (Codice del Consumo), a cura e spese della parte attrice:

➢ pubblicazione per estratto, limitata al solo dispositivo e con indicazione dell’intestazione Tribunale di Genova, del numero di R.G., del nome delle parti e dei difensori, della presente ordinanza nel quotidiano IL CORRIERE DELLA SERA per due volte, una prima volta in un giorno feriale, una seconda volta in un giorno festivo entro il 31.5.2023;

➢ nel sito internet il cui titolare presti il proprio consenso idoneo ad assicurare adeguata diffusione alla notizia, da effettuarsi entro il termine del 31.5.2023;

➢ su un social network a scelta della parte attrice, da effettuarsi entro il termine del 31.5.2023;

– fissato il termine perentorio del 15.9.2023 entro il quale i consumatori e utenti che intendono aderire all’azione di classe, senza ministero del difensore, devono inviare l’atto di adesione, nel quale sono tenuti a specificare la data di imbarco e l’itinerario di crociera acquistato, o a mezzo lettera raccomandata A/R, alla Cancelleria della Sesta Sezione Civile del Tribunale di Genova – Piazza Portoria 1, 16121 Genova GE, o a mezzo posta elettronica certificata o pec all’indirizzo: sez6.civile.tribunale.genova@giustizia.it unitamente alla copia di un documento di identità in corso di validità ed a ricevuta di acquisto del pacchetto turistico, indicando espressamente il seguente oggetto: “Class Action – R.G. n. 10213/2022”;

– mandato la cancelleria di redigere un elenco delle persone che hanno manifestato adesione all’azione collettiva promossa;

– fissato per la prosecuzione del giudizio davanti al Collegio l’udienza del 26.9.2023 alle ore 15.00 che si terrà al Tribunale di Genova presso l’Aula 9, IV piano impregiudicata la facoltà di questo Collegio di variare il giorno e l’aula di udienza in relazione al numero di aderenti alla proposta.

Si definiscono infezioni “nosocomiali” le infezioni contratte dai pazienti durante il soggiorno in ospedale o altra struttura sanitaria.
La materia è stata recentemente oggetto di una importante pronuncia della Corte di Cassazione (Sentenza n. 6386 del 3 marzo 2023) con la quale è stato affermato che, in presenza di tale tipologia di infezione, la prova del collegamento causale tra il comportamento dei sanitari e l’evento dannoso deve essere fornita dal danneggiato in termini soltanto probabilistici.
Questo significa che chi agisce per il risarcimento dei danni deve dimostrare che il comportamento colposo dei sanitari ha causato l’evento lesivo con un grado di probabilità più elevato rispetto ad altre cause possibili, senza che sia necessario fornire la prova di cui si tratta, in termini di assoluta certezza.
Sempre secondo quanto affermato nella decisione in commento, inoltre, a fronte della prova presuntiva, fornita dal paziente, della contrazione dell’infezione in ambito ospedaliero, la struttura potrà sempre fornire la prova liberatoria di aver adottato tutte le misure utili alla prevenzione delle stesse, consistente nell’indicazione:
a) dei protocolli relativi alla disinfezione, disinfestazione e sterilizzazione di ambienti e materiali;
b) delle modalità di raccolta, lavaggio e disinfezione della biancheria;
c) delle forme di smaltimento dei rifiuti solidi e dei liquami;
d) delle caratteristiche della mensa e degli strumenti di distribuzione di cibi e bevande;
e) delle modalità di preparazione, conservazione ed uso dei disinfettanti;
f) della qualità dell’aria e degli impianti di condizionamento;
g) dell’avvenuta attivazione di un sistema di sorveglianza e di notifica;
h) dei criteri di controllo e di limitazione dell’accesso ai visitatori;
i) delle procedure di controllo degli infortuni e della malattie del personale e delle profilassi vaccinali;
j) del rapporto numerico tra personale e degenti;
k) della sorveglianza basata sui dati microbiologici di laboratorio;
l) della redazione di un “report” da parte delle direzioni dei reparti, da comunicarsi alle direzioni sanitarie al fine di monitorare i germi patogeni-sentinella;
m) dell’orario dell’effettiva esecuzione delle attività di prevenzione del rischio.
Accertata l’esistenza di sistemi di prevenzione del rischio e della loro attuazione in base ai parametri precedentemente descritti si tratterà poi di passare alla verifica della tempestività della diagnosi d’infezione di cui si discute e della appropriatezza delle cure conseguentemente apprestate.
È evidente tuttavia che il modello delineato dalla Corte di Cassazione rappresenta un accertamento da svolgersi per gradi: il mancato superamento del vaglio inziale circa la concreta attuazione di sistemi di prevenzione e controllo e contenimento del rischio determinerà, infatti, automaticamente, la responsabilità risarcitoria della struttura sanitaria interessata.

La Suprema Corte, con la sentenza 18 gennaio 2023, n. 1417, ha precisato che il contratto di viaggio vacanza “tutto compreso” (cd. pacchetto turistico) deve essere tenuto distinto dal contratto di organizzazione o di intermediazione di viaggio, essendo caratterizzato sia per la “finalità turistica” che sotto il profilo soggettivo ed oggettivo.
Nel secondo, infatti, le prestazioni e i servizi si profilano come separati, laddove nel “pacchetto turistico” gli elementi costitutivi del trasporto, dell’alloggio e dei servizi turistici agli stessi non accessori, combinandosi in misura prefissata, assumono rilievo non già singolarmente, bensì nella loro unitarietà funzionale, dando luogo ad una prestazione complessa, volta a soddisfare la “finalità turistica” che integra la causa concreta del contratto; con la conseguenza che l’organizzatore e il venditore del pacchetto turistico assumono, nell’ambito del rischio di impresa, un’obbligazione di risultato nei confronti dell’acquirente, essendo tenuti a risarcire qualsiasi danno da questi subito a causa della fruizione del pacchetto turistico e rispondono solidalmente ogni qualvolta sia ravvisabile una responsabilità diretta del prestatore di servizi nei confronti del consumatore per il servizio reso (o non reso).
In applicazione di tale principio, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata che aveva escluso la responsabilità solidale dell’Agenzia di viaggi e del Tour operator, in relazione ai danni patiti dagli acquirenti di un “pacchetto turistico” in conseguenza dell’intossicazione alimentare riportata all’interno del villaggio turistico, ritenendo ciascuno responsabile soltanto degli obblighi rispettivamente e personalmente assunti nei confronti del turista.

Il Tribunale di Cremona, con la sentenza n. 502 del 18 ottobre 2022, ha sancito che nella fideiussione omnibus, quand’anche la clausola di rinuncia al termine ex art. 1957 c.c. sia nulla ai sensi dell’art. 2 comma 2, lett. a), Legge n. 287/1990 in quanto manifestazione di un accordo anticoncorrenziale, se il fideiussore si è impegnato a pagare “a semplice richiesta scritta” quanto dovuto dal soggetto garantito, l’onere del creditore, previsto dall’art. 1957 c.c., di avanzare istanza entro il termine di sei mesi dalla scadenza del credito deve ritenersi soddisfatto con la semplice richiesta scritta di pagamento rivolta al debitore principale o al fideiussore senza necessità di proporre entro lo stesso termine azione giudiziale.
Questo perché, secondo il Tribunale di Cremona, la clausola con cui il fideiussore si impegna a soddisfare il creditore “a semplice richiesta” o entro un tempo predeterminato, costituisce deroga pattizia alla forma che il creditore, ai sensi dell’art. 1957 c.c., deve osservare nel proporre le sue richieste al fideiussore nel termine previsto dall’articolo in questione, nel senso che l’osservanza dell’onere in questione può ritenersi soddisfatta dalla richiesta di pagamento formulata dal creditore al fideiussore a prescindere dalla proposizione di un’azione giudiziaria.
In estrema sintesi il Tribunale di Cremona ha affermato che quando la fideiussione contiene una clausola con la quale il fideiussore si impegna a soddisfare il creditore “a semplice richiesta scritta“, per evitare la decadenza dalla garanzia prevista dall’art. 1957 c.c. è sufficiente che, entro sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale, il creditore formuli una richiesta scritta al debitore principale o al fideiussore, non essendo necessario che entro quel termine venga promossa anche un’azione giudiziaria.
Dello stesso avviso la Corte di Appello di Milano la quale, in occasione di una recente pronuncia (n. 220 del 24 gennaio 2023), ha chiarito che qualora, per accordo tra le parti, il garante debba adempiere a seguito della “semplice richiesta” del creditore, la domanda di pagamento inviata in via stragiudiziale può, e deve, essere considerata una valida istanza ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1957 c.c.. Diversamente opinando, secondo la Corte di Appello meneghina, la garanzia perderebbe il suo significato di garanzia a prima richiesta.
In altri termini la fideiussione “a prima richiesta” comporta che il garante sia tenuto al pagamento dell’obbligazione quando questo gli viene intimato dal creditore, indipendentemente dall’esercizio di un’azione giudiziale.
Da quel momento, infatti, il fideiussore è obbligato ad eseguire il pagamento richiesto, secondo il meccanismo proprio del solve et repete, ed è reso conscio del mancato adempimento da parte del debitore principale.
La raccomandata inviata costituisce richiesta scritta di pagamento stragiudiziale idonea ad evitare la decadenza ai sensi dell’art. 1957 c.c..
Secondo la Corte di Appello di Milano è irrilevante, quindi, il momento in cui il creditore ha proposto domanda giudiziale dovendosi ritenere rispettato il termine di cui all’art. 1957 c.c. già con la diffida stragiudiziale.

Nell’ambito dei rapporti condominiali, non è insolito che si creino situazioni che possono configurare delle immissioni/molestie che superano la normale tollerabilità.
Ad esempio, spesso accade che un condomino si prenda cura di animali anche randagi nella sua proprietà esclusiva.
Tuttavia, rifocillare cani o gatti con ciotole di cibo può costituire molestia se gli animali non solo vagano nelle parti comuni ma s’introducono negli appartamenti e relative pertinenze degli altri condomini limitandone il godimento.
Pertanto, sempre che non sia proibito dal regolamento condominiale, dare da mangiare ad animali anche se randagi non è vietato, ma è necessario adottare tutte le precauzioni idonee ad impedire che la presenza degli animali possa recare molestia al resto del condominio.
Stessa cosa può valere allorquando un condomino possieda animali domestici che, venendo lasciati incustoditi per diverse ore, abbaiano incessantemente.
La Corte di Cassazione, segnatamente, ha recentemente confermato una sentenza della Corte di Appello con cui è stato disposto il risarcimento del vicino, disturbato nelle ore di riposo a causa di “cupi ululati e continui e fastidiosi guaiti specie nelle ore notturne emessi dai cani dei vicini collocati sul terrazzo dell’abitazione e sul terreno comune del fabbricato” (Cass. civ., sez. III, 27/07/2022, n. 23408).
In conclusione, qualora il singolo condominio ponga in essere le condotte di cui sopra, quest’ultimo sarà tenuto ad adottare tutte le necessarie precauzioni volte ad evitare disagi ai vicini. In difetto, tali disagi potrebbero sfociare in richieste di risarcimento dei danni da parte degli altri condomini.
Ed infatti, il giudice può liquidare il danno causato dalle immissioni/molestie in via equitativa, sulla base della prova fornita dal danneggiato anche con presunzioni, sulla base di nozioni di comune esperienza, senza che sia necessaria la dimostrazione di un mutamento delle abitudini di vita, liquidando a favore del danneggiato anche il danno non patrimoniale, consistente nella lesione del diritto al normale svolgimento della vita famigliare all’interno della sua abitazione (Cass. civ., Sez. Unite, 01/02/2017, n. 2611).

 

La rinuncia all’eredità consiste in un atto giuridico unilaterale, per mezzo del quale il chiamato all’eredità dismette il suo diritto di accettarla. Il compimento di tale atto determina la perdita del diritto all’eredità ed il rinunciante è considerato come se non fosse stato mai chiamato.

Ai sensi dell’art. 519, cod. civ., detta rinuncia deve necessariamente essere compiuta in forma solenne, con dichiarazione ricevuta da notaio o da cancelliere del Tribunale del circondario nel quale si è aperta la successione ed iscritta nel registro delle successioni.

È stato anche precisato dalla giurisprudenza di legittimità che, ai sensi dell’art. 519, cod. civ., la dichiarazione di rinunzia all’eredità non possa essere sostituita neanche da una scrittura privata autenticata. La forma suddetta è prevista a pena di nullità, in quanto l’indicazione dell’art. 519 cod. civ., rientra tra le previsioni legali di forma “ad substantiam”, di cui all’art. 1350 cod. civ., n. 13, (Cass. Sez. II, Sent. n. 4274 del 2013).

La Suprema Corte, prendendo le mosse dalle considerazioni che precedono, nell’ordinanza n. 37927 del 28 dicembre 2022, ha, in proposito, recentemente stabilito il principio secondo il quale, nel sistema delineato dagli artt. 519 e 525, cod. civ., in tema di rinunzia all’eredità – la quale determina la perdita del diritto all’eredità ove ne sopraggiunga l’acquisto da parte degli altri chiamati – l’atto di rinunzia deve essere rivestito di forma solenne, con la conseguenza che una revoca tacita della rinunzia deve essere considerata inammissibile.