Con la recente ordinanza n. 34968, del 22 novembre 2022, la Corte di Cassazione sez. Lavoro ha ribadito il proprio consolidato orientamento interpretativo in base al quale: “in tema di azione risarcitoria ex art. 2087 c.c. per i danni cagionati dallo svolgimento di un’attività eccedente la ragionevole tollerabilità, il lavoratore è tenuto ad allegare compiutamente lo svolgimento della prestazione secondo le predette modalità nocive e a provare il nesso causale tra il lavoro svolto e il danno, mentre al datore di lavoro, in ragione del suo dovere di assicurare che l’attività lavorativa non risulti pregiudizievole per l’integrità fisica e la personalità morale del dipendente, spetta dimostrare che la prestazione si è, invece, svolta secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, con modalità normali, congrue e tollerabili”.
Il principio è stato affermato con riferimento alla domanda di risarcimento dei danni alla salute avanzata da un dipendente pubblico il quale assumeva di aver contratto una patologia depressiva, con successivo infarto, in conseguenza di “superlavoro” derivante dallo svolgimento di mansioni inferiori e superiori a quelle previste per il proprio effettivo inquadramento professionale, con ritmi insostenibili e in ambiente disagiato, nonché, in assenza di qualsivoglia pianificazione e distribuzione dei carichi di lavoro da parte del datore di lavoro.
In sostanza, con l’ordinanza in esame la Corte di Cassazione ha chiarito che il lavoratore che agisca in giudizio affermando che un’attività di per sé legittima (quale appunto l’impiego in ufficio pubblico) si sia in concreto svolta con modalità devianti da quelle ordinarie e che proprio da ciò sia derivato un danno, ha l’onere di provare l’esistenza del danno subito come pure la nocività dell’ambiente lavorativo, nonché, la sussistenza di un collegamento causale tra tali due elementi (in estrema sintesi si dovrà dimostrare che il danno alla salute sia stato effettivamente causato dalle condizioni di lavoro di cui il lavoratore si lamenta).
Spetta, viceversa, al datore di lavoro, al fine di evitare una condanna al risarcimento, dimostrare che la prestazione lavorativa sia avvenuta con modalità normali, congrue e tollerabili per l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore.
La Suprema Corte, con la sentenza del 29 settembre 2022 n. 28327, ha stabilito che la preesistente menomazione del danneggiato, se “coesistente”, è di norma irrilevante rispetto ai postumi dell’illecito apprezzati secondo un criterio controfattuale (cioè, stabilendo cosa sarebbe accaduto se l’illecito non si fosse verificato), senza che di essa si debba tenere conto nella determinazione del grado di invalidità permanente e nella liquidazione del danno, mentre, se “concorrente”, può costituire concausa dell’evento di danno, assumendo rilievo sul piano della causalità giuridica, in quanto gli effetti invalidanti sono più gravi se associati ad altra menomazione, con la conseguenza che essa va considerata ai fini della sola liquidazione del pregiudizio e non anche della determinazione del grado percentuale di invalidità, da determinarsi, comunque, in base alla complessiva invalidità riscontrata in concreto, senza innalzamenti o riduzioni.
Secondo la Cassazione, il debitore può chiedere il risarcimento del danno provocato dall’iscrizione di un’ipoteca sproporzionata ossia eccessiva rispetto al debito garantito.
Nel caso di specie, una banca aveva iscritto un’ipoteca su beni di valore di circa 30 milioni di Euro a cautela di un credito di appena 100 mila Euro.
Il debitore, adducendo che la banca si era resa autrice di un fatto illecito (l’iscrizione eccessiva), aveva richiesto il risarcimento del danno il quale, a suo giudizio, consisteva nel fatto che l’iscrizione aveva impedito la concessione di un finanziamento, e aveva degradato il merito creditizio del debitore e provocato «a cascata» l’iscrizione di ipoteche da parte di altre banche.
Con l’ordinanza del 13 dicembre 2021, n. 39441, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso e cassato con rinvio per nuovo esame la decisione della Corte d’Appello di Firenze.
La portata innovativa dell’ordinanza in questione sta nel fatto che tale pronuncia conferisce un sostanziale cambio di rotta all’orientamento consolidato che negava la responsabilità della banca per iscrizione eccessiva e di fatto negava ogni tutela a fronte di tale abuso.
Così decidendo la Cassazione ha riconosciuto oltre alla possibilità di chiedere la riduzione dell’iscrizione ipotecaria sproporzionata rispetto al credito da garantire anche il risarcimento del danno.
La portata della pronuncia è, quindi, di particolare importanza, poiché apre nuove prospettive non solo rispetto alla tutela del patrimonio illegittimamente aggredito dalla banca, ma anche su una questione per il momento nuova, e cioè sulla responsabilità della banca e sui danni risarcibili provocati da un contegno incauto.
Resta comunque da capire quale sia il parametro cui il creditore debba riferirsi per non incorrere nel caso di una iscrizione sproporzionata. Da questo punto di vista potrebbe tornare utile il principio per il quale il debitore ha diritto alla riduzione dell’ipoteca se il suo valore eccede di un terzo il valore dei crediti a cautela dei quali l’ipoteca viene iscritta (art. 2875 c.c.).
Quindi, in teoria, seguendo il parametro del terzo, non si dovrebbe incorrere nel rischio di sentirsi chiamati in responsabilità per iscrizione eccessiva.
Con l’ordinanza n. 28632/2022 la Suprema Corte di Cassazione ha sancito l’inapplicabilità delle c.d. Tabelle di Milano nella valutazione e nella liquidazione del danno non patrimoniale causato dal colposo ritardo diagnostico della patologia ad esito infausto.
Nella parte motiva del ridetto provvedimento la Suprema Corte di Cassazione – in linea con precedenti giurisprudenziali che hanno sancito l’inapplicabilità delle c.d. Tabelle di Milano nella valutazione del danno derivante dalla violazione del diritto di determinarsi liberamente nella scelta del proprio percorso esistenziale – ha precisato che per il risarcimento del danno da omessa diagnosi non si possono applicare le c.d. Tabelle Milano, ma occorre tenere conto di tutte le circostanze specifiche del caso concreto, come l’età del danneggiato, il ritardo intercorso tra il primo accertamento, la diagnosi della malattia e il successivo decesso, le condizioni generali del paziente nel periodo compreso tra il primo accertamento e la diagnosi corretta.
Infatti, la liquidazione equitativa di cui all’art 1226 c.c. può essere utilizzata dal giudice quando, come nel caso in esame, è impossibile determinare l’ammontare del risarcimento o quando la sua determinazione risulti particolarmente difficoltosa. L’applicazione di tale criterio non deve pregiudicare l’entità del risarcimento del danno non patrimoniale, che comunque deve essere congruo: il giudice, infatti, è tenuto a prendere in considerazione il pregiudizio effettivo subito e le ripercussioni negative che lo stesso ha avuto sul patrimonio dello stesso e sul valore della persona, provvedendo al ristoro integrale dello stesso.
Con decreto del Ministero dello Sviluppo Economico in data 8 giugno 2022 sono stati aggiornati gli indici tabellari da utilizzare per il calcolo del risarcimento del danno biologico per lesioni di lieve entità, secondo quanto previsto dall’art. 139, comma 5 del Codice delle assicurazioni private.
Il provvedimento ha il dichiarato scopo di adeguare i valori che erano stati precedentemente fissati con analogo decreto in data 22 luglio 2019, alle variazioni degli indici Istat relativi ai prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, registrate nei mesi di aprile 2020 (-0.1%), aprile 2021 (+1,2%) e, da ultimo, a quelle ancor più significative registrate a decorrere dal mese di aprile del corrente anno 2022 (+5,8%).
L’aggiornamento riguarda i criteri per la liquidazione del risarcimento del danno biologico per menomazioni dell’integrità psico-fisica comprese tra 1 e 9 punti di invalidità, derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione di veicoli a motore e di natanti, ovvero, dalle attività di strutture socio sanitarie pubbliche o private e degli esercenti professioni sanitarie.
I nuovi valori comporteranno un incremento sia del cd. “punto base” da utilizzare per la liquidazione del danno da lesione micro permanente (portato a 870,97 euro), sia per quanto riguarda l’importo relativo al valore attribuito ad ogni giorno di invalidità temporanea assoluta subita in conseguenza del sinistro (portato a 50,79 euro).
Il risarcimento per il ritardo nella consegna del bagaglio è una misura prevista sia dalla Convenzione di Montreal del 1999 che dalla Convenzione di Varsavia per indennizzare il passeggero che abbia dovuto far fronte alla spesa di acquistare nuovamente quei beni, contenuti nel bagaglio affidato al vettore aereo, e non riconsegnatigli in tempo utile per servirsene.
Tuttavia, non ogni ritardo permette di ottenere un risarcimento. È necessario, infatti, che il passeggero dimostri che il ritardo, oltre alla comprensibilmente fastidiosa attesa, crei effettivamente un danno di qualsiasi tipo, patrimoniale o non patrimoniale, al viaggiatore aereo.
Sono danni patrimoniali risarcibili, ad esempio, i costi sostenuti per l’acquisto di beni di prima necessità, ovvero, medicinali nell’attesa che arrivi il bagaglio, danni non patrimoniali risarcibili le conseguenze di tipo morale o esistenziale che derivino della grave lesione di diritti inviolabili della persona costituzionalmente tutelati.
Il risarcimento consisterà in un massimo di 1.300,00 Euro per le compagnie aeree non UE secondo la Convenzione di Montreal, calcolato a forfait, e fino a un massimo di 19,54 Euro circa per ogni chilogrammo di bagaglio registrato per le compagnie UE che aderiscano alla Convenzione di Varsavia.
Con la sentenza n. 9857 pubblicata in data 28.3.2022 la Corte di Cassazione ritorna sul dibattuto tema del danno derivante dalla perdita di un rapporto parentale e sulla distinzione, anche al fine della liquidazione, di tale voce di danno dal danno biologico.
In particolare, la Suprema Corte precisa che il danno da perdita del rapporto parentale è destinato a tradursi nella duplice dimensione del c.d. danno morale ossia della sofferenza puramente interiore patita per la perdita affettiva riscontrabile sul piano dell’afflizione e della compromissione dell’ordinario equilibrio emotivo nonché del danno rappresentato dalla modificazione delle attività della vita quotidiana e degli eventuali aspetti dinamico-relazionali in conseguenza di tale perdita affettiva.
Il danno derivante dalla perdita del rapporto parentale, nella sua duplice dimensione, deve, dunque, essere inteso quale conseguenza riferibile alla compromissione della conservazione dell’integrità del proprio nucleo familiare e/o affettivo.
Il danno biologico che deriva dalla perdita di un congiunto, invece, consiste nella compromissione del diverso interesse legato alla conservazione dell’integrità della propria salute tanto da trovare tutela costituzione nell’art. 32 della Costituzione.
Secondo la Suprema Corte, pertanto, nell’ipotesi di perdita di un congiunto e/o parente, va liquidato il danno sotto il profilo della perdita del rapporto parentale sia il danno biologico atteso che la liquidazione del danno biologico non costituisce una duplicazione della prima liquidazione, trattandosi di voci di danno del tutto diverse tra loro.
Con nota in data 14.3.2018, l’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano ha diffuso la versione aggiornata delle note tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale nonché i criteri orientativi per la liquidazione del danno non patrimoniale da “premorienza”, di quello c.d. terminale, del danno da diffamazione a mezzo stampa e per la liquidazione ex art. 96, c.p.c. Continua a leggere
L’acquisizione da parte del medico del consenso informato costituisce prestazione altra e diversa da quella dell’intervento medico richiestogli, assumendo autonoma rilevanza ai fini dell’eventuale responsabilità risarcitoria in caso di mancata prestazione da parte del paziente. Continua a leggere
Prima dell’entrata in vigore del D.P.R. 224 del 1988, poi trasfuso nel d.lgs. 6.9.2005, n. 206 (c.d. Codice del Consumo) il consumatore danneggiato da un prodotto difettoso aveva a disposizione solo lo strumento codicistico.
Successivamente, il Legislatore europeo è intervenuto con la direttiva 85/374/CEE, con la quale è stato adeguato il quadro giuridico alla nuova realtà economica e si è realizzato l’obiettivo di ravvicinare le legislazioni nazionali sul punto, eliminando le disparità esistenti nonché garantendo un livello elevato di tutela dei consumatori. Continua a leggere