Con una recente pronuncia la Corte di Cassazione (sentenza n. 28398/2022) ha fornito una risposta a una questione di grande attualità: un soggetto può registrare di nascosto le conversazioni allo scopo di tutelare un proprio diritto in giudizio.

La vicenda processuale nasce da una pronuncia della Corte d’appello di Salerno che non ha ritenuto sussistente il carattere ritorsivo di un licenziamento stante la totale assenza di elementi probatori a sostegno di tale affermazione, in quanto le registrazioni delle conversazioni tra colleghi raccolte dal lavoratore erano da considerarsi abusive e illegittime e pertanto non idonee a costituire fonte di prova.

La Cassazione ha censurato la sentenza di secondo grado, evidenziando che la stessa non ha in alcun modo indagato sulla sussistenza dei requisiti atti a far ritenere legittime, a fini di prova, le registrazioni di conversazioni tra presenti.

Inoltre, ha precisato che i giudici della Corte d’Appello non hanno sottoposto a bilanciamento i diritti coinvolti, ovvero il diritto alla difesa e il diritto alla riservatezza.

Pertanto, la Corte ha affermato che la registrazione di una conversazione tra presenti, in assenza di consenso e allo scopo di precostituirsi una prova giudiziale, è legittima stante la prevalenza, nel bilanciamento dei diritti, del diritto alla difesa sul diritto alla riservatezza non dovendo ritenersi il diritto alla difesa circoscritto alla sola sede processuale, ma estendendosi ad ogni fatto ed atto teso ad acquisire prove anche precostituite utilizzabili in giudizio.