Nel nostro ordinamento non esiste una specifica disciplina della “reperibilità”, né esiste, tanto a livello nazionale quanto comunitario, alcuna normativa che stabilisca se, e a quali condizioni, il periodo di tempo in cui il lavoratore rimane disponibile e contattabile dal datore di lavoro al di fuori del proprio turno di lavoro, possa essere considerato “orario di lavoro”.
Il fenomeno riguarda, invero, tipicamente alcune particolari figure professionali quali, esercenti professioni sanitarie, tecnici incaricati della manutenzione di impianti a funzionamento necessariamente continuo ed altre figure chiamate ad intervenire in situazioni di emergenza (ad esempio vigili del fuoco).
In ragione della sua ampia diffusione in concreto, la fattispecie è stata tuttavia oggetto di ripetuto esame da parte della Corte di Cassazione la quale, in linea con l’orientamento espresso in materia anche dalla Corte di Giustizia Europea, ha nel tempo stabilito alcuni principi interpretativi a cui è possibile ispirarsi nella valutazione dei singoli casi concreti.
Più in particolare, nelle proprie più recenti decisioni, la Corte di Cassazione, in linea con quanto disposto dal Dlgs. n. 66 del 2003, ha affermato che costituisce orario di lavoro qualsiasi periodo in cui il lavoratore: (1) sia “al lavoro”, ovvero, nel luogo di lavoro determinato dal datore di lavoro (non necessariamente coincidente con la sede di lavoro); (2) sia “a disposizione del datore di lavoro”, ovvero, limitato nella propria possibilità di gestire il proprio tempo libero, ancorché non concretamente impegnato nello svolgimento delle proprie mansioni lavorative.
Qualora al contrario il lavoratore si limiti ad obbligarsi ad intervenire entro un periodo di tempo determinato dal datore di lavoro, tale periodo costituisce orario di lavoro soltanto se l’obbligo in questione comprima in maniera significativa e oggettiva la libertà del lavoratore di riposarsi e dedicarsi liberamente ad attività extra lavorative.