Con la sentenza n. 1307 del 28 marzo 2017 la Corte d‘Appello di Milano si è pronunciata su di una questione ancora poco dibattuta in giurisprudenza: la possibilità di proporre querela di falso dopo l’esperimento del procedimento di verificazione della scrittura privata.

Riferimenti normativi

art. 221, comma 1, c.p.c.: “La querela di falso può proporsi tanto in via principale quanto in corso di causa in qualunque stato e grado di giudizio, finchè la verità del documento non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato“.

Contenuto della sentenza

La proposizione della querela di falso dopo la verificazione di scrittura privata è ammissibile solo nel caso in cui con la querela di falso si voglia fare accertare un ulteriore profilo di falsità del documento diverso dalla apocrifia della sottoscrizione come sarebbe, per esempio, la non genuinità del modulo su cui è stato stiuplato il contratto.

Si tratta di una delle pochissime pronunce che hanno contribuito a chiarire che la querela di falso non è ammissibile quando tale mezzo di tutela viene utilizzato per riproporre esclusivamente la questione della apocrifia della sottoscrizone in calce al contratto che sia stata già accertata con provvedimento di verificazione.

Nella fattispecie l’attore proponeva in appello querela di falso del documento (polizza fideiussoria) sotto lo stesso profilo già esaminato e disatteso in primo grado ossia la falsità della firma in calce ad esso. In pratica il querelante non proponeva nessun profilo autonomo di falsità ma si limitava ad affermare che il documento in contestazione non le era stato mai presentato per la firma nonostante fosse stato in primo grado accertato che la firma in calce al documento era autentica ossia appertaneva alla mano del querelante.

Conclusioni

La pronuncia n. 1307 del 28 marzo 2017, non impugnata nel termine di legge e, quindi, passata in giudicato, è importante perchè affronta una questione rispetto alla quale esiste un’unico precedente giurisprudenziale rappresentato dalla sentenza n. 4728 del 28 febbraio 2007 emessa dalla Suprema Corte di Cassazione.

La sentenza in questione sancisce che se è innegabile la libertà di opzione per l’uno o per l’altro strumento processuale, per essere differenti gli effetti legati ai due mezzi di tutela (la querela consente di privare la scrittura di valore erga omnes, mentre il disconoscimento di limitare gli effetti nei confronti della sola controparte), non appare corretto sostenere che l’esercizio di tale facoltà resti libero e ne sia consentita la sperimentazione all’interno dello stesso processo anche quando sia già stato utilizzato il disconoscimento, cui sia seguita la verificazione, e la querela venga proposta per finalità pari a quelle con il primo perseguite, al solo scopo, dunque, di neutralizzare il risultato, contrario alle aspettative, della verificata autenticità della sottoscrizione.

Se pertanto la querela di falso è proponibile in qualunque stato e grado del giudizio, fino a quando la verità del documento non sia stata accertata con sentenza passata in giudicato, la sua ammissibilità, anche dopo il disconoscimento e la verificazione accertativa dell’autenticità, è possibile solo quando la querela sia finalizzata a contestare la verità del contenuto del documento.

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