Con l’ordinanza n. 14944 in data 28 maggio 2024, la prima sezione civile della Corte di Cassazione è tornata ad analizzare la fattispecie dello “storno di dipendenti e collaboratori”, al fine di stabilire in presenza di quali parametri la stessa possa ritenersi compresa entro i limiti della libera circolazione del lavoro e del legittimo esercizio della libertà di iniziativa economica, ovvero, al contrario, rappresenti un’ipotesi di concorrenza sleale a danno di altro imprenditore concorrente, come tale sanzionabile civilmente ai sensi dell’art. 2598, n. 3, c.c. (“Ferme le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi e dei diritti di brevetto, compie atti di concorrenza sleale chiunque: …omissis…3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”).
Secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione, in particolare, ai fini della configurabilità di atti di concorrenza sleale commessi per mezzo dello storno di dipendenti e/o collaboratori è necessario che l’attività distrattiva delle risorse di personale sia stata posta in essere con modalità tali da non potersi giustificare, se non supponendo nell’autore l’intento di recare pregiudizio all’organizzazione ed alla struttura produttiva dell’impresa concorrente.
Per essere sanzionabile come atto di concorrenza sleale, l’imprenditore che pone in essere lo storno deve, quindi, aver agito con il proposito di “procurare un danno eccedente il normale pregiudizio che ad ogni imprenditore può derivare dalla perdita dei dipendenti o collaboratori in conseguenza della loro scelta di lavorare presso altra impresa”.
Come ulteriormente precisato nella sentenza in esame, infatti “la mera assunzione di personale proveniente da un’impresa concorrente non può essere considerata di per sé illecita”.