I recenti interventi “normativi” in materia di misure di contenimento dell’emergenza epidemiologica da nuovo coronavirus (ovvero, in particolare, il D.L. 7 ottobre 2020, n. 125 ed i DPCM, 7 ottobre 2020, 13 ottobre 2020 e 24 ottobre 2020) non paiono aver apportato alcuna specifica modifica alla disciplina applicabile alle ipotesi di contagio da Covid 19 avvenuto sul luogo di lavoro.

Sia per quanto riguarda la determinazione dei limiti della copertura assicurativa da parte dell’INAIL, sia per quanto riguarda la valutazione della responsabilità del datore di lavoro, il contagio da Covid 19 avvenuto sul luogo di lavoro sarà, quindi, trattato come infortunio sul lavoro e non – come inizialmente ipotizzato da alcuni commentatori che si sono, a vario titolo, occupati della materia – come malattia professionale.

Ciò, anche in ossequio ad un consolidato orientamento giurisprudenziale – recentemente recepito con specifico riferimento al contagio da Covid 19, anche dall’INAIL con proprie circolari interpretative – secondo il quale, la causa virulenta posta alla base delle malattie infettive e parassitarie, deve ritenersi equiparata alla causa violenta tipica degli infortuni sul lavoro.

Ne consegue l’applicabilità anche al caso di affezioni che dovessero colpire il lavoratore in conseguenza di infezioni da Coronavirus, dell’art. 2087 c.c. ( “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro) norma che, al fine di escluderne la  responsabilità per i danni conseguenti ad infortuni sul lavoro, impone al datore di lavoro di dimostrare di aver posto in essere tutti gli accorgimenti (nel caso di specie, si tratterà di quelli previsti dagli appositi “protocolli” allegati ai vari provvedimenti normativi in tema di Covid-19, di cui da ultimo il DPCM 24 ottobre 2020 ha espressamente ribadito la necessità di applicazione) per evitare l’infortunio.

Ciò, evidentemente, ove risulti che il contagio sia avvenuto in occasione di lavoro, circostanza che – nonostante le ben note peculiarità del virus di cui si tratta ed in particolare, la sua facile trasmissibilità e diffusione pandemica – potrà ritenersi presunta solo per particolari tipologie di lavoratori quali (in primis) gli operatori sanitari nonché tutti i lavoratori che si trovino a frequente contatto col pubblico /utenza (ad esempio i lavoratori di front office, cassieri, banconisti, addetti alle pulizie in strutture sanitarie ecc.ecc.).

Resta infine da tener conto di come alcune delle misure di contenimento del contagio confermate, ripristinate ovvero previste ex novo dalla normativa emergenziale di cui sopra ( si pensi ad esempio agli obblighi legati all’uso della mascherina e di distanziamento interpersonale)  incideranno sui doveri di tutela della salute dei propri lavoratori gravanti sul datore di lavoro,  essendo prevedibile che quest’ultimo sarà chiamato a rispondere anche di eventuali inadempimenti agli obblighi di vigilare sul rispetto delle medesime misure da parte dei propri dipendenti, ai sensi dell’art. 2087 cod. civ. a prescindere dalla esplicita previsione di tali doveri di vigilanza da parte di specifici protocolli di sicurezza applicabili ai luoghi di lavoro di cui si tratta.

Su tale ultimo aspetto e su tutto quanto precedentemente osservato sarà comunque fondamentale poter valutare l’interpretazione che verrà fornita dai giudici di merito e di legittimità i quali, ove chiamati a pronunciarsi con riferimento a fattispecie quali quelle in esame, potrebbero anche, in tutto, ovvero, in parte discostarsi dagli orientamenti precedentemente descritti.

Il Consiglio dei ministri nella seduta del 7 ottobre ha deliberato la proroga dello stato di emergenza al 31 gennaio 2021 e approvato, su proposta del Presidente Giuseppe Conte e del Ministro della salute Roberto Speranza, il Decreto Legge “Misure urgenti connesse con la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da Covid-19 e per la continuità operativa del sistema di allerta Covid, nonché per l’attuazione della direttiva (UE) 2020/739 del 3 giugno 2020″.

In particolare il Decreto proroga al 15 ottobre le misure contenute nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm) del 7 settembre 2020 e proroga al 31 gennaio 2021 le disposizioni già in vigore che prevedono la possibilità per il governo di adottare misure volte a contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione del virus SARS-CoV-2.

Rimane, quindi, ferma, per le società cooperative, la possibilità di avvalersi delle disposizioni previste dal secondo e dal sesto comma del citato art. 106, con le modalità già segnalate nel precedente contributo.

Al fine di evitare che il fideiussore rimanga in attesa dell’adempimento della sua obbligazione di garanzia per un tempo indefinito, il dettato dell’art. 1957 c.c. richiede alle banche, alle assicurazioni (e ad ogni creditore) di attivarsi nei confronti del debitore principale nel termine di sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale, se la fideiussione non ha un termie specificatamente determinato, o nel termine di due mesi, se essa è stata concepita ad tempus.
Ciò significa che se il creditore non si attiva nei confronti del debitore principale, perde il suo diritto, a meno che le parti non abbiano rinunciato ad avvalersi della norma.
Per superare tale limite e far valere le proprie ragioni di credito nei confronti del garante anche a distanza di anni, sempre più spesso le banche e le compagnie di assicurazioni hanno provveduto, supportate in questo senso dalla giurisprudenza, a qualificare le fideiussioni come contratti autonomi di garanzia così superando le limitazioni temporali imposte dall’art. 1957 c.c..
La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 5598 del 28 febbraio 2020 è intervenuta sull’argomento aprendo la strada al ribaltamento del maggioritario orientamento giurisprudenziale che nega l’applicabilità dell’art. 1957 c.c. anche al contratto autonomo di garanzia.
La sentenza citata ha ripreso un concetto già espresso da qualche isolata sentenza di merito (Trib. Firenze, sez. III, 12 giugno 2019, n. 1856) stabilendo che non vi è alcuna incompatibilità tra la causa del contratto autonomo e l’onere imposto al creditore di perseguire il debitore principale, perché l’autonomia della garanzia e l’articolo 1957 c.c. operano su due piano diversi: il garante, quindi, non potrà opporre eccezioni relative al rapporto garantito e il creditore avrà il preciso onere, per giovarsi della garanzia, di richiedere giudizialmente l’adempimento nei confronti del debitore principale.
La conseguenza dell’applicazione della norma di cui all’art. 1957 c.c. anche al contratto autonomo di garanzia sarà la maggiore tutela per il garante che non sarà più vincolato a richieste di pagamento avanzate da banche e compagnie di assicurazioni (ed ogni altro creditore) a distanza di molti anni.

La legge n. 77/2020 di conversione del “decreto rilancio” ha introdotto novità di rilievo in ambito lavoristico.

In particolare il legislatore, all’evidente fine di arginare la crisi delle aziende, in difficoltà a seguito dell’emergenza sanitaria con le conseguenti ripercussioni sul lavoro, ha previsto all’art. 43 bis il “contratto di rete con causale di solidarietà”.

Sembra prima facie una nuova tipologia di contratto di rete, già disciplinato dall’art. 3 del d.l. n. 5/2009.

Se tradizionalmente il contratto di rete è quell’accordo in forza del quale due o più imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato, con l’art. 43 bis, come precisato dalla nota dell’I.N.L. n. 468/2020, viene in oggi data alle imprese la “possibilità di stipulare un contratto di rete per favorire il mantenimento dei livelli occupazionali delle imprese appartenenti alle filiere che si sono trovate in particolare difficoltà economica a causa dello stato di crisi o di emergenza”.

Il contratto, come evidenziato dalla rubrica della norma, ha un evidente fine solidaristico perseguendo la finalità di favorire il mantenimento dei livelli occupazionali delle imprese appartenenti alle filiere che si sono trovate in particolare difficoltà economica a causa dello stato di crisi o di emergenza dichiarati con provvedimento delle autorità competenti.

Pertanto, le imprese che stipulano il contratto di rete per lo svolgimento di prestazioni lavorative presso le partecipanti possono ricorrere agli istituti del distacco e della codatorialità, ai sensi dell’art. 30, comma 4 ter, del D.Lgs. n. 276/2003, per perseguire le seguenti finalità:

– impiego di lavoratori delle imprese partecipanti alla rete che sono a rischio di perdita del posto di lavoro;

– inserimento di persone che hanno perso il posto di lavoro per chiusura di attività o per crisi di impresa;

– assunzione di figure professionali necessarie a rilanciare le attività produttive nella fase di uscita dalla crisi.

La normativa introdotta, come segnalato dalla predetta nota dell’I.N.L., qui richiamata, “deroga inoltre alle disposizioni generali in ordine all’obbligo di pubblicità previsto dal comma 4 quater (obbligo di iscrizione del contratto di rete nel registro delle imprese ove hanno sede le imprese contraenti)”.

Il predetto obbligo viene quindi assolto mediante la sottoscrizione del contratto, in deroga alle modalità previste dal comma 4 ter del citato art. 3, ai sensi dell’art. 24 del CAD, “con l’assistenza di organizzazioni di rappresentanza dei datori di lavoro rappresentative a livello nazionale presenti nel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro ai sensi della legge 30 dicembre 1986, n. 936, che siano espressione di interessi generali di una pluralità di categorie e di territori”.

Verranno poi stabilite con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da adottare entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della legge, le modalità di comunicazione, a cura dell’impresa referente, necessarie per dare attuazione alla codatorialità.

Sembra quindi delinearsi un importante sviluppo dell’istituto della Rete e degli istituti lavoristici che detto contratto comporta, avuto riguardo al Distacco e alla Codatorialità.

Va, infatti, ricordato che solo nell’ambito del Contratto di Rete il distacco gode di una presunzione di legittimità tale per cui l’interesse della distaccante (requisito indispensabile per la legittimità del distacco) si presume.

Parimenti, è solo in relazione all’operare di una Rete che il legislatore ha previsto l’istituto della Codatorialità la quale viene generalmente intesa come una sorta di distacco “rafforzato” nel senso che i lavoratori in codatorialità vengono impiegati promiscuamente dalle imprese retiste pur mantenendo la titolarità del rapporto di lavoro del lavoratore interessato in capo ad una di esse.

Ciò considerato, consentire alle imprese di ricorrere all’istituto del distacco e della codatorialità nell’ambito della Rete onde evitare licenziamenti e quindi per favorire l’occupazione costituisce un’importante novità posto che nello stesso tempo l’istituto qui in commento, oltrechè mantenere i livelli occupazionali, consentirà alle imprese di contenere i costi aziendali, avendo la possibilità di mettere a fattor comune il personale.

Pertanto il contratto di Rete, che già costituiva un importante strumento – a mio avviso sottovalutato dalle imprese – per sviluppare il business, dando l’opportunità, attraverso l’aggregazione, di creare sinergie, potrà quindi avere una nuova stagione assumendo oggi un’ulteriore veste e conciliando le esigenze datoriali con quelle dei lavoratori.