Con pronuncia n. 30293 in data 31.10.2023 la Corte Suprema di Cassazione ha esaminato la natura e la funzione della rendita pagata dall’INAIL per l’invalidità permanente conseguita ad un sinistro nonché ha esaminato la modalità di calcolo del “danno differenziale” spettante al danneggiato.
Secondo il principio affermato, in tema di compensatio lucri cum damno, dalla stessa Cassazione a Sezioni Unite nella sentenza n. 12566 del 22 maggio 2018, “i pagamenti effettuati dall’assicuratore sociale riducono il credito risarcitorio vantato dalla vittima del fatto illecito nei confronti del responsabile, quando l’indennizzo abbia lo scopo di ristorare il medesimo pregiudizio del quale il danneggiato chiede di essere risarcito”.
Con la pronuncia in esame la Suprema corte ha affermato: “Ciò posto, e considerata la diversità strutturale e funzionale dell’indennizzo corrisposto dall’assicuratore sociale (Inail) nel caso di infortunio rispetto al risarcimento civilistico del danno da lesione della salute, il criterio più coerente al detto principio per calcolare il credito risarcitorio residuo del danneggiato nei confronti del terzo responsabile (e cioè il c.d. danno differenziale) non è certo quello – che di fatto risulta applicato dai giudici di merito – di sottrarre tout court per intero l’indennizzo Inail dal credito risarcitorio che sia stato “a monte” calcolato, e non è nemmeno quello di operare tale sottrazione secondo “poste omogenee” (vale a dire distinguendo all’interno dell’indennizzo Inail le soli due grandi poste del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale e sottraendo tout court l’importo complessivamente liquidato per quest’ultima categoria di danno), ma è piuttosto quello di sottrarre l’indennizzo Inail dal credito risarcitorio solo quando l’uno e l’altro siano stati destinati a ristorare pregiudizi identici (criterio per “poste identiche” e non per poste omogenee”.
La Cassazione esamina, poi, le prestazioni che l’INAIL può eseguire in favore del danneggiato.
Nel caso di infortunio non mortale, l’Inail esegue in favore della vittima quattro prestazioni principali:
a) eroga una somma di denaro a titolo di ristoro del danno biologico permanente;
b) eroga una somma di denaro a titolo di ristoro del danno (patrimoniale) da perdita della capacità di lavoro;
c) eroga una indennità giornaliera per il periodo di assenza dal lavoro, commisurata alla retribuzione e decorrente dal quarto giorno di assenza;
d) si accolla le spese di cura, di riabilitazione e per gli apparecchi protesici.

L’INAIL, non indennizza il danno biologico temporaneo. Inoltre, non accorda alcuna “personalizzazione” dell’indennizzo per tenere conto delle specificità del caso concreto, né indennizza i pregiudizi non patrimoniali.
Pertanto, per determinare il “differenziale”, dal totale del risarcimento a cui ha diritto il danneggiato non si deve dedurre l’intera rendita capitalizzata, ma soltanto quella parte che serve a ristorare il danno biologico, unica “posta identica”.
Il risarcimento del danno biologico temporaneo, del danno morale e della c.d. “personalizzazione” del danno biologico permanente in nessun caso potranno essere toccati, perchè l’INAIL non copre queste voci.
Quanto al credito per inabilità temporanea al lavoro e quello per spese mediche, sono pregiudizi integralmente ristorati dall’Inail, salvo ovviamente che la vittima deduca e dimostri la sussistenza di pregiudizi superiori a quelli indennizzati.
Quello che rimane (ed è ovviamente comprensivo di quelle voci di danno che l’INAIL non copre) è il danno differenziale. Ne discende che:
“a) se l’Inail ha pagato al danneggiato un capitale a titolo di indennizzo del danno biologico, il relativo importo va detratto dal credito risarcitorio vantato dalla vittima per danno biologico permanente, al netto della personalizzazione e del danno morale (Cass. civ. n. 26117/2021, cit.; Cass. civ. n. 9112 del 02/04/2019; Cass. civ. n. 13222 del 26/06/2015);
b) se l’Inail ha costituito in favore del danneggiato una rendita, occorrerà innanzitutto determinare la quota di essa destinata al ristoro del danno biologico, separandola da quella destinata al ristoro del danno patrimoniale da incapacità lavorativa; la prima andrà detratta dal credito per danno biologico permanente, al netto della personalizzazione e del danno morale, la seconda dal credito per danno patrimoniale da incapacità di lavoro, se esistente;
c) poiché il credito scaturente da una rendita matura de mense in mensem, il diffalco di cui al punto b) che precede dovrà avvenire, con riferimento al danno biologico:
c’) sommando e rivalutando i ratei di rendita già riscossi dalla vittima prima della liquidazione;
c”) capitalizzando il valore della rendita non ancora erogata, in base ai coefficienti per il calcolo dei valori capitali attuali delle rendite Inail, di cui al D.M. 22 novembre 2016 (Cass. civ. n. 26117/2021, cit.; Cass. civ. n. 25618 del 15 ottobre 2018; n. 5607 del 7 marzo 2017; Cass. civ. n. 26913 del 23 dicembre 2016; Cass. civ. n. 17407 del 30 agosto 2016)”.

La sentenza oggetto di approfondimento ha correttamente stabilito che, in tema di contratti del consumatore, il carattere abusivo delle clausole predisposte dal professionista va valutato alla luce del principio generale, secondo cui sono abusive le clausole che determinino a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto.
A tal proposito si deve, peraltro, chiarire che la nozione di significativo squilibrio (contenuta nell’art. 33 del Codice del Consumo), relativamente alle clausole vessatorie contenute nei contratti tra professionista e consumatore, fa esclusivo riferimento ad uno squilibrio di carattere giuridico e normativo, riguardante la distribuzione dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, non consentendo invece di sindacare l’equilibrio economico, ossia la convenienza economica dell’affare concluso.
Nella specie, una società esercente attività di manutenzione di ascensori proponeva ricorso per decreto ingiuntivo allo scopo di ottenere il pagamento di una somma giustificata da una fattura emessa per delle prestazioni manutentive in favore di un Condominio. Quest’ultimo proponeva opposizione dinanzi al Giudice di pace, deducendo l’illegittimità della pretesa all’ottenimento della somma ingiunta, siccome fondata su un contratto, la cui clausola relativa alla determinazione dei canoni dovuti per siffatta attività, si sarebbe dovuta considerare vessatoria ai sensi del D.Lgs. n. 206/2005 – c.d. “codice del consumo” (visto che veniva contemplata una penale, per l’eventualità del recesso da parte del committente, pari al 60% del canone per ogni mese fino alla scadenza del contratto).
Il Tribunale, previa rilevazione della vessatorietà della clausola oggetto del contendere, dichiarava che l’appellante non era tenuto a corrispondere, in favore dell’appellata, la somma portata dal decreto monitorio.

La Cassazione ha recentemente confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa di un dipendente di un istituto bancario che in più occasioni, malgrado fosse già stato diffidato, aveva tenuto un atteggiamento irrispettoso nei confronti di alcune sue colleghe, destinatarie e vittime di ripetuti approcci ed inviti a sfondo sessuale.
In particolare, la Cassazione, disattendendo i motivi proposti dal ricorrente (che aveva asserito essersi consumato il potere disciplinare attraverso la diffida allo stessa da parte del datore di lavoro), ha precisato che la diffida del datore si è manifestata quale esercizio del potere direttivo, ed è stato l’inadempimento alla stessa, espresso con i comportamenti successivi, ad attivare il procedimento disciplinare per tutti i fatti lesivi della dignità e sicurezza delle colleghe.
Cass Sez. Lav., 15.11.2023, Ord. n. 31790