Con l’ordinanza n. 28632/2022 la Suprema Corte di Cassazione ha sancito l’inapplicabilità delle c.d. Tabelle di Milano nella valutazione e nella liquidazione del danno non patrimoniale causato dal colposo ritardo diagnostico della patologia ad esito infausto.

Nella parte motiva del ridetto provvedimento la Suprema Corte  di Cassazione  – in linea con precedenti giurisprudenziali che hanno sancito l’inapplicabilità delle c.d. Tabelle di Milano nella valutazione del danno derivante dalla violazione del diritto di determinarsi liberamente nella scelta del proprio percorso esistenziale – ha precisato che per il risarcimento del danno da omessa diagnosi non si possono applicare le c.d. Tabelle Milano, ma occorre tenere conto di tutte le circostanze specifiche del caso concreto, come l’età del danneggiato, il ritardo intercorso tra il primo accertamento, la diagnosi della malattia e il successivo decesso, le condizioni generali del paziente nel periodo compreso tra il primo accertamento e la diagnosi corretta.

Infatti, la liquidazione equitativa di cui all’art 1226 c.c. può essere utilizzata dal giudice quando, come nel caso in esame, è impossibile determinare l’ammontare del risarcimento o quando la sua determinazione risulti particolarmente difficoltosa. L’applicazione di tale criterio non deve pregiudicare l’entità del risarcimento del danno non patrimoniale, che comunque deve essere congruo: il giudice, infatti, è tenuto a prendere in considerazione il pregiudizio effettivo subito e le ripercussioni negative che lo stesso ha avuto sul patrimonio dello stesso e sul valore della persona, provvedendo al ristoro integrale dello stesso.

Con la sentenza 29 marzo 2022, n. 10050, la Suprema Corte ha stabilito che, nell’ipotesi in cui la paziente faccia valere la responsabilità del medico e della struttura sanitaria per i danni derivatigli da un intervento che si assume svolto in spregio alle leges artis, l’attore è tenuto a provare, anche attraverso presunzioni, il nesso di causalità materiale intercorrente tra la condotta del medico e l’evento dannoso, consistente nella lesione della salute e nelle altre lesioni ad essa connesse (nella specie, la perdita del concepito); è, invece, onere dei convenuti, ove il predetto nesso di causalità materiale sia stato dimostrato, provare o di avere eseguito la prestazione con la diligenza, la prudenza e la perizia richieste nel caso concreto, o che l’inadempimento (ovvero l’adempimento inesatto) è dipeso dall’impossibilità di eseguirla esattamente per causa ad essi non imputabile.

In altri termini, una volta emerso e provato, sul piano presuntivo, il nesso causale tra l’intervento sanitario e l’evento dannoso, non spetta alla paziente (che ha debitamente allegato l’errore del medico, asseritamente consistente nell’indebita effettuazione di tre consecutivi prelievi di liquido amniotico, in contrasto con le indicazioni provenienti dalla letteratura medica) dimostrare tale circostanza, concretante l’inesatto adempimento della obbligazione professionale, ma spetta al professionista e alla struttura sanitaria dimostrare l’esatto adempimento, provando, in ossequio al parametro della diligenza qualificata di cui all’art. 1176 c.c., comma 2, di avere eseguito l’amniocentesi in modo corretto, attenendosi, anche in relazione al numero dei prelievi effettuati, alle regole tecniche proprie della professione esercitata.

La legge n. 24 in data 8 marzo 2017 (“Riforma Gelli”) ha introdotto significative novità sia in materia penale sia in materia civile, con l’obiettivo di ridurre il contenzioso e di garantire maggiori e più sicure tutele ai pazienti danneggiati da prestazioni medico sanitarie eseguite non correttamente. Continua a leggere

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