Atteso che il Sistema di Interscambio (SDI), che gestisce la fatturazione elettronica, genera documenti informatici autentici ed immodificabili, che non sono semplici “copie informatiche di documenti informatici” bensì “duplicati informatici”, assolutamente indistinguibili dai loro originali, potendo essere scaricati da “fonte / terzo qualificato”, come l’Agenzia delle Entrate, le fatture elettroniche in formato “.xml” devono ritenersi equipollenti all’estratto autentico delle scritture contabili previsto dall’art. 634, comma 2, c.p.c. ai fini della concessione del decreto ingiuntivo.
Ciò è quanto affermato dal Tribunale di Verona con il decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo del 29.11.2019 (R.G. n. 10221/19), osservando che proprio in ragione delle sopra descritte caratteristiche della fattura elettronica, l’art. 1, comma 3-ter, D.Lgs. 127/2015 prevede che i soggetti obbligati ad emetterle in via esclusiva mediante il Sistema di Interscambio siano esonerati dagli obblighi di annotazione nei registri contabili di cui agli artt. 23 e 25 D.P.R. 633/1972, cosicché, per tali soggetti, deve ritenersi che sia venuto meno anche l’obbligo di tenere i predetti registri, e di conseguenza gli obblighi previsti dall’art.634 comma 2, c.p.c. ai fini dell’ottenimento del decreto ingiuntivo. Ciò in quanto appare illogico pensare che un’impresa debba tenere delle scritture contabili che non ha l’obbligo di utilizzare.
In base all’orientamento interpretativo in esame ai fini della prova per l’emissione di un decreto ingiuntivo, per un il credito relativo a somministrazione di merci o prestazione di servizi, l’emissione di fattura elettronica dispensa quindi il creditore dalla produzione all’estratto autentico delle scritture contabili previsto dall’art. 634, comma 2, c.p.c..

L’art. 3 del Decreto legge n. 52/2020, entrato in vigore il 17 giugno 2020 ha disposto la proroga fino al 15 agosto 2020 del temine di presentazione della domanda di emersione di rapporti di lavoro irregolare e di rilascio di permesso di soggiorno temporaneo prevista dal precedente Decreto legge n. 34/2020

Si tratta di misure aventi il dichiarato fine di “garantire livelli adeguati di tutela della salute individuale e collettiva” in conseguenza dell’emergenza sanitaria connessa alla diffusione del contagio da -COVID-19 e favorire nel contempo l’emersione e la successiva regolarizzazione di rapporti di lavoro irregolari.

Possono beneficiarne sia lavoratori italiani, sia lavoratori stranieri impiegati nei seguenti settori di attività:

a) agricoltura, allevamento e zootecnia, pesca, acquacoltura e attività connesse;

b) assistenza alla persona per sé stessi o per componenti della propria famiglia, ancorché non conviventi, affetti da patologie o handicap che ne limitino l’autosufficienza;

c) lavoro domestico di sostegno al bisogno familiare.

Come i primi commentatori della norma non hanno mancato di rimarcare, la procedura in esame appare molto complessa e articolata e di difficile attuazione dovendosi realizzare attraverso il coordinamento di diversi soggetti amministrativi ed in un tempo tecnico relativamente ristretto.

Vi è poi una particolare complessità nell’allegazione degli elementi di prova rispetto ai requisiti per beneficiare della sanatoria ed in particolare per quanto riguarda la presenza continuativa sul territorio nazionale del cittadino straniero alla data dell’8 marzo 2020 e l’aver esercitato attività lavorativa nei settori individuati.

Appare infine del tutto evidente come nonostante il dichiarato fine di “garantire livelli adeguati di tutela della salute individuale e collettiva in conseguenza della contingente ed eccezionale emergenza sanitaria connessa alla calamità derivante dalla diffusione del contagio da COVID-19”, le disposizioni in commento abbiano del tutto omesso di far riferimento a concrete misure di contrasto alla diffusione del virus, che possano essere di ausilio ai datori di lavori per poter adempiere correttamente a gravosi obblighi sugli stessi gravanti in tema di tutela della salute e della sicurezza dei propri lavoratori.

Il Decreto Fiscale collegato alla Legge di Bilancio 2020 (D.L. n. 124/2019, convertito con L. n. 157/2019, il “Decreto Fiscale”) ha introdotto alcune importanti novità per le ritenute fiscali sui redditi dei lavoratori impiegati negli appalti (e nei subappalti).

Gli obblighi previsti dal Decreto Fiscale sono entrati in vigore il 1° gennaio 2020.

Si tenga in ogni caso presente che le novità del Decreto Fiscale trovano applicazione anche per i “vecchi” contratti (stipulati prima del 1° gennaio 2020), se la loro esecuzione avvenga anche solo parzialmente nel corso del 2020.

Le novità del Decreto Fiscale riguardano infatti gli appalti, subappalti, affidamenti a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati che abbiano congiuntamente le tre seguenti caratteristiche:

– valore annuo complessivo superiore a € 200.000;

– prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi del committente (endo-aziendale);

– utilizzo di beni strumentali di proprietà del committente (o ad esso riconducibili).

Qualora l’appalto rientri nell’ambito di applicazione del Decreto Fiscale come sopra individuato, entro 5 giorni lavorativi successivi alla relativa scadenza, l’appaltatore dovrà trasmettere al committente:

– le deleghe per le ritenute fiscali dei suoi dipendenti (compilate separatamente per ciascun committente);

– un elenco nominativo che preveda:

→ l’identificazione tramite codice fiscale di tutti i lavoratori impiegati nell’appalto nel mese precedente;

→ il dettaglio delle ore di lavoro prestate da ciascun lavoratore;

→ l’ammontare della retribuzione corrisposta al singolo dipendente;

→ il dettaglio delle ritenute fiscali eseguite nel mese precedente nei confronti di tale dipendente, con separata indicazione di quelle ritenute che sono relative all’esecuzione dell’appalto affidato dal committente.

Per converso, il committente è obbligato a richiedere all’appaltatore la trasmissione di copia delle deleghe di pagamento e l’elenco nominativo di cui sopra al fine di verificare che le ritenute fiscali siano state effettivamente versate e per di più versate in misura sufficiente.

Tali obblighi andranno attentamente disciplinati nei contratti di appalto mediante previsioni ad hoc e poi monitorati con costanza nel corso della loro esecuzione.

Se l’appaltatore non trasmettesse le deleghe di pagamento e l’elenco nominativo, oppure se il versamento delle ritenute fiscali risultasse omesso o insufficiente, il committente dovrà sospendere il pagamento del corrispettivo all’appaltatore sino a concorrenza del 20% del valore complessivo dell’appalto, segnalando la circostanza entro 90 giorni all’Agenzia delle Entrate.

Qualora il committente non richieda la copia delle deleghe di pagamento delle ritenute fiscali, oppure non proceda al blocco dei pagamenti di cui sopra al ricorrere delle relative circostanze, egli dovrà pagare una somma pari alla sanzione irrogata all’appaltatore per la violazione degli obblighi di corretta determinazione delle ritenute e di corretta esecuzione delle stesse, nonché di tempestivo versamento, senza alcuna possibilità di compensazione.

Gli obblighi del Decreto Fiscale non si applicano a quegli appaltatori in grado di ottenere una sorta di certificazione “di affidabilità” da parte dell’Agenzia delle Entrate, il c.d. DURF.

Il provvedimento n. 54740/2020 del Direttore dell’Agenzia delle entrate ha regolamentato la predetta certificazione e sul sito istituzionale dell’Agenzia delle entrate è possibile trovare uno schema di certificazione e a una tabella contenente i requisiti fondamentali necessari per ottenere il DURF.

L’Agenzia delle entrate, con il predetto provvedimento, specifica alcuni importanti aspetti relativi alla certificazione.

Il primo aspetto fondamentale riguarda le tempistiche del rilascio: il DURF che certifica i requisiti con riferimento all’ultimo giorno del mese precedente a quello della scadenza di cui all’articolo 17-bis, comma 2, D.Lgs. 241/1997, è messo a disposizione a partire dal terzo giorno lavorativo di ogni mese e ha validità di 4 mesi dalla data del rilascio.

Il certificato può essere rilasciato sia accertante tutti i requisiti (DURF positivo) sia non accertante la presenza di tutti i requisiti con esplicita evidenza dei requisiti mancanti (DURF negativo).

A mente dell’articolo 17-bis, comma 5, D.Lgs. 241/1997 (così come modificato dal Decreto Fiscale in esame), potranno ottenere il DURF le imprese appaltatrici, affidatarie e subappaltatrici in possesso, congiuntamente, di tutti i seguenti requisiti:

– essere in attività da almeno 3 anni;

– essere in regola con gli obblighi dichiarativi;

– aver eseguito nell’ultimo triennio versamenti nel conto fiscale per un importo non inferiore al 10% dell’ammontare dei compensi o dei ricavi;

– non avere iscrizioni a ruolo o accertamenti esecutivi o avvisi di addebito affidati agli agenti della riscossione relativi alle imposte sui redditi, all’imposta regionale sulle attività produttive, alle ritenute e ai contributi previdenziali per importi superiori a 50.000 euro, per i quali i termini di pagamento siano scaduti e siano ancora dovuti pagamenti o non siano in essere provvedimenti di sospensione. Le disposizioni di cui al periodo precedente non si applicano per le somme oggetto di piani di rateazione per i quali non sia intervenuta decadenza.

Non avere il DURF, ovvero avere un DURF negativo, comporta l’applicabilità di tutti gli obblighi e i controlli a carico del committente; pertanto, qualora un piccolo subappaltatore non ottenesse il DURF, in caso di inadempienze di quest’ultimo soggetto, l’appaltatore potrebbe rischiare di avere sospeso il corrispettivo maturato e di sua competenza.

Infine, per gli appaltatori soggetti ai nuovi obblighi del Decreto Fiscale, se privi della certificazione dell’Agenzia delle Entrate di cui sopra, è esclusa la facoltà di ricorrere all’istituto della compensazione per adempiere alle proprie obbligazioni relative ai contributi previdenziali (INPS) e ai premi assicurativi (INAIL).

L’art. 1, comma 1, lett. c), DPCM 1.3.2020, in piena emergenza COVID-19, aveva sospeso lo svolgimento delle assemblee condominiali che, ora, pare si possano tenere in forza del Decreto Legge 16.5.2020 n. 33 che ha previsto la possibilità di tenere “riunioni” purché “si svolgono “garantendo il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro”.

Tra le riunioni, si ritiene che possano essere ricomprese le assemblee condominiali, anche se il dubbio permane in quanto in una Faq del Governo, alla domanda: Si possono tenere le assemblee condominiali, la risposta è stata: “No. Le assemblee del condominio sono vietate a meno che non si svolgano a distanza, assicurando il rispetto della normativa in materia di convocazione e delibera”.

Affinché un’assemblea sia tenuta “in sicurezza”, onde garantire il rispetto ispiratore della normativa, ovvero la tutela della salute, la stessa dovrà tenersi in un luogo che possa consentire a tutti i condomini di parteciparvi, restando seduti a distanza di almeno un metro, i partecipanti dovranno indossare la mascherina ed è ipotizzabile che l’amministratore richieda ai partecipanti di sottoscrivere un protocollo di comportamento e di igiene personale, dallo stesso redatto, anche al fine di essere mandato esente da responsabilità in caso di contagio.

La normativa di emergenza intervenuta in questo periodo non ha previsto norme ad hoc per il condominio non avendo, per esempio, previsto la possibilità che il voto venga espresso per corrispondenza (con il meccanismo del silenzio/assenso) o lo svolgimento delle assemblee in video conferenza. L’assenza di normativa specifica e i costi esorbitanti per la tenuta di un’assemblea in sicurezza sta portando ad un’inevitabile paralisi delle attività condominiali, al rinvio delle assemblee, con ripercussioni importanti a danno dei condomini.