Corte di Cassazione civile, Sezione Lav. 31 marzo 2017 n. 7179: vi è mera interposizione fittizia di manodopera e non appalto c.d. “endoaziendale” se l’appaltatore mette a disposizione del committente una prestazione lavorativa, senza che da parte sua vi sia una reale organizzazione della prestazione lavorativa finalizzata ad un risultato produttivo autonomo e senza l’assunzione di un rischio d’impresa relativo al servizio fornito.
Normativa di riferimento
Artt. 21 e ss. del Decreto legislativo n. 10/09/2003 n. 276
Contenuto
Con la sentenza n. 7179 del 31 marzo 2017, in esame, la sezione lavoro della Corte di Cassazione torna a pronunciarsi in materia di c.d. appalto di servizi endoaziendale consistente nell’affidamento ad un appaltatore esterno di attività attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente.
Detto istituto si distingue dalla somministrazione di lavoro (illecita laddove esercitata al di fuori dei limiti di cui agli artt. 21 e ss. del Decreto legislativo n. 10/09/2003 n. 276) per l’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto da parte dell’appaltatore e non del committente, nonché per l’assunzione da parte del primo del rischio di impresa.
Al fine di verificare la non genuinità dell’appalto, soccorrono alcuni indici frutto dell’elaborazione della dottrina e della giurisprudenza.
Più in particolare, in base all’interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione (confermata con la pronuncia in esame) si ritiene sussistere interposizione – vietata – di manodopera e non appalto genuino, allorché, l’impresa che fornisce la manodopera, non assuma alcun rischio economico in merito alla realizzazione del servizio dedotto in contratto.
Elemento qualificante del contratto di appalto lecito è, inoltre, considerato, l’esercizio del potere direttivo e organizzativo dell’appaltatore nei confronti del proprio personale utilizzato nell’appalto stesso. Affinché si abbia un contratto di appalto, i lavoratori dell’appaltatore non devono confondersi con i dipendenti del committente ma devono essere riconoscibili come lavoratori dell’appaltatore.
L’orientamento giurisprudenziale in esame era già stato affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza del 27 novembre 2012, n. 21030: con riferimento ad una fattispecie di appalto (fittizio) di manodopera a favore di una società ferroviaria, la medesima Corte aveva infatti escluso che potesse ravvisarsi una figura di appalto lecito “difettando qualsiasi carattere di prestazione di servizio o di autonomia gestionale” da parte della appaltatrice “la quale – nella concreta attuazione dell’obbligazione assunta verso l’appaltante – si era limitata alla gestione amministrativa del rapporto di lavoro del dipendente, senza alcuna ingerenza circa le modalità esecutive della prestazione lavorativa”.
Con la sentenza in esame la Corte di Cassazione ribadisce il proprio convincimento: quand’anche l’imprenditore appaltante sia titolare di una propria organizzazione imprenditoriale, si configura interposizione fittizia di mano d’opera vietata e non appalto di servizi endoaziendale qualora detta organizzazione non sia impegnata con assunzione del rischio relativo, nell’esecuzione dell’opera o del servizio in concreto appaltati.
Conclusioni
L’imprenditore che affida ad altra impresa l’esecuzione di attività inerenti il proprio ciclo produttivo dovrà considerarsi effettivo datore di lavoro dei lavoratori impiegati nell’appalto ogni qual volta l’impresa appaltante non assuma sulla propria organizzazione l’organizzazione del servizio appaltato ed il relativo rischio d’impresa.