Con la sentenza n. 5851 del 24 marzo 2015, la terza sezione civile della Corte di Cassazione è ritornata ad analizzare il tema dei limiti all’esercizio del diritto di satira, quale manifestazione del diritto di critica, già oggetto di ampia riflessione da parte del medesimo giudice di legittimità.
Contenuto della sentenza
La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso presentato contro la sentenza della Corte d’appello di Napoli, con cui un giornalista, la società editrice ed il direttore di una testata giornalistica erano stati condannati a risarcire il danno morale subito da un medico in conseguenza della pubblicazione di un articolo dal tono ritenuto “diffamatorio”.
Al testo di tale articolo dal titolo «Truffe e bugie per falsi invalidi duri di orecchie», nel quale al dottore era attribuita la qualifica di «somaro», era stata abbinata la fotografia del medico ed un disegno umoristico «nel quale un personaggio accostava l’orecchio ad un corno acustico simile ad una cornucopia tracimante banconote».
Contro la sentenza della Corte d’appello di Napoli hanno presentato ricorso l’autore dell’articolo e la società redattrice della testata giornalistica che lo avevo pubblicato, sostenendo che nel caso in esame era stati rispettati i limiti all’esercizio del diritto di critica delineati dalla giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione nel corso del tempo, a partire dalla “verità putativa” (purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca), dall’ ”interesse generale” e dalla “correttezza della narrazione”.
Argomentazioni che però non sono apparse convincenti alla Corte di Cassazione che ha ricordato che il diritto di satira, di rilevanza costituzionale e internazionale, rappresenta una manifestazione del diritto di critica il quale, a sua volta, rappresenta un’articolazione della libertà del pensiero che esprime il libero arbitrio della persona.
In questa prospettiva, la satira, per la sua natura di diritto soggettivo e opinabile, è certo sottratta al parametro della verità, ma «soltanto i fatti così rappresentati in modo apertamente difforme alla verifica del reale sono privi della capacità offensiva, mentre la riproduzione apparentemente attendibile di un fatto di cronaca, deve essere valutata secondo il criterio della continenza delle espressioni e delle immagini e delle vignette e delle foto utilizzate».
Conclusioni
Pertanto,, ricorda la Suprema Corte, non è possibile riconoscere alcuna scriminante a favore degli autori, allorché – come ritenuto dalla Corte d’appello di Napoli nel caso di specie – la satira diventi forma pura di dileggio, di disprezzo, di distruzione della dignità della persona.